L’Istituto superiore di sanità del dicembre 2020 (rapporto n. 43) sul Covid-19 già sottolineava quanto le conseguenze della pandemia sul neurosviluppo e sulla salute mentale dei minori sarebbero emerse in maniera pesante negli anni a venire.
Gli ultimi dati disponibili confermano quella previsione. Lo rende evidente uno studio pubblicato lo scorso maggio da Fondazione Cariplo che ha monitorato tutti gli accessi avvenuti in Lombardia tra il 2015 e il 2022 ai servizi Npia (Neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza), la rete pubblica che dovrebbe rispondere ai bisogni di quel 20% di minori, circa 332 mila, con disturbi neuropsichici più o meno gravi stimati nella regione.
Ma un dato sorprende: la crescita di utenti a questi servizi era già in atto da un decennio prima del Covid. Il rapporto di Cariplo propone un’analisi profonda di dati che, a prima vista, sembrerebbero addirittura positivi. Se, infatti, tra il 2015 e il 2019 il totale degli utenti ai servizi Npia era passato da 135 mila a oltre 143 mila, alla fine del 2022 questa cifra si è fermata a 137 mila minori: con un calo del 3,4% sul 2019, e passando per una flessione di circa il 20% nel pieno della pandemia.
Ma il vero nodo è nella qualità degli accessi tra la fine del 2019 e il 2022: se già a metà del decennio scorso era stato rilevato un progressivo aumento della complessità dell’utenza, questa si è infatti ulteriormente aggravata – nonostante il calo numerico – immediatamente dopo la pandemia. In particolare, sono aumentati del 27% gli utenti con prescrizioni farmacologiche; del 17% gli accessi al pronto soccorso con codici gialli/arancioni e rossi e gli accessi ripetuti; del 16% le giornate di degenza per disturbi psichiatrici; del 30% gli inserimenti in strutture residenziali terapeutiche; e soprattutto i comportamenti autolesivi e suicidari, cresciuti di oltre 4 volte, passando dai 76 casi del 2015 ai 115 del 2019, fino ai 333 del 2022, con una prevalenza femminile sempre attestata tra il 70 e l’80%.
Ne parlano sul numero de Il Segno di luglio/agosto Mauro Percudani, direttore del Dipartimento di Salute mentale e dipendenze dell’ospedale Niguarda di Milano, e Osmano Oasi, professore associato di Psicologia dinamica all’Università Cattolica di Milano.
La comunità scientifica da vent’anni lavora sulla prevenzione e sul riconoscimento precoce dei sintomi dei disturbi mentali per intervenire prima che si verifichi una compromissione significativa nei vari ambiti della vita. Ma non è sempre facile definire e incasellare il disagio e le patologie nei soggetti più giovani. Al di là della pandemia, i contesti che più mettono a rischio la salute psico-mentale dei ragazzi, oltre all’uso di sostanze, è l’abuso di dispositivi elettronici, soprattutto gli smartphone, che hanno cambiato molto in loro il modo di vivere, conoscersi e aggregarsi. L’uso eccessivo di questi device crea, favorisce o accentua, tratti di dipendenze talvolta già presenti.
Negli ultimi 10-15 anni il sistema relazionale dei ragazzi si è modificato e la comunicazione attraverso questi strumenti è molto difficile da gestire: altrimenti il rischio è di diventare soggetti passivi o attivi in maniera sbagliata. Senza puntare il dito sui dispositivi elettronici, si evidenzia che ciò che è venuto meno sono le relazioni personali. I primi segnali si intravvedono nella difficoltà dei ragazzi di compiere un normale percorso di crescita, nel rendimento scolastico, nelle relazioni sociali e nelle varie attività.
Per prevenire o evitare derive patologiche è importante sensibilizzare il mondo adulto (genitori, insegnanti, educatori) perché di fronte a segnali o manifestazioni di disagio di un minore, sappiano dove e a chi rivolgersi.
L’articolo completo è pubblicato su “Il Segno” di luglio-agosto