«Le nostre vite future dipendono di più da quello che decidono i parlamentari europei e sempre meno dalle leggi nazionali». Lo scrive Ferruccio de Bortoli, editorialista del Corriere della Sera, nelle pagine de Il Segno di marzo in vista delle elezioni europee. Un esempio? La regolamentazione rispetto all’intelligenza artificiale. Certo non è sempre facile arrivare a una decisione comune, trovare l’intesa tra 27 Paesi richiede un confronto e un lavoro certosino. Ora la speranza è che questa volta si rechino alle urne tanti italiani (e non solo), seppure a differenza di altri Paesi da noi votano solo i giovani dai 25 anni in su, in altri casi i 18enni e addirittura i 16enni. «Parliamo tanto di giovani che se ne vanno – puntualizza de Bortoli – e noi italiani, di tutta risposta, siamo quelli che attribuiscono ai giovani meno diritti politici dei loro coetanei europei».
Lo conferma anche Andrea Villa, presidente delle Acli di Milano, Monza e Brianza: quanto si decide in Europa ha un impatto diretto anche sulle nostre abitudini. E per Milano la sfida è alta visti i tanti problemi che affliggono la città o, meglio, i cittadini. A cominciare dal tema casa, cui si aggiunge anche la questione della sostenibilità, per questo occorre «sostenere la transizione con investimenti adeguati».
Non meno importante è il tema dell’immigrazione: perché non immaginare un intervento simile a quello adottato in pandemia di sostegno alle imprese con la cassa integrazione straordinaria? «Sullo stesso modello, un piano europeo di investimento a sostegno dell’inclusione sociale dei migranti – sostiene Villa – potrebbe essere la chiave per cambiare le regole del gioco». Anche perché, non dimentichiamo, Milano è ancora una città attrattiva per molti.
E di Europa scrive anche Guido Formigoni, introducendo il libro curato da Gianni Borsa, Scegliere l’Europa (pubblicato in coedizione da In Dialogo e Ave), che raccoglie diversi contributi. «Il consenso abbastanza largo che l’Unione aveva sempre raccolto tra i suoi cittadini è stato sfidato a fondo da una reazione populista e sovranista, molto più che euroscettica», ammette Formigoni. Alcune grosse sfide, come quelle climatiche e migratorie, «sono più oggetto di rivendicazioni retoriche che non di solidarietà visibili e progettazioni incisive». Occorre allora consolidare l’idea che «ci vuole “più Europa” per essere al livello della statualità che le nuove congiunture geopolitiche del mondo chiedono».
Gli articoli integrali sono pubblicati su “Il Segno” di marzo