Rilfessione

Se l’educazione sessuale passa dalla pornografia…

Le cronache degli stupri giovanili di gruppo lette alla luce di quanto emerso in un laboratorio di ricerca con 80 ragazze di un liceo milanese. Su «Il Segno» di ottobre ne parla Stefano Laffi, ricercatore sociale, tra i fondatori della cooperativa Codici Ricerche a Milano

La cronaca ci ha restituito negli ultimi mesi un’immagine strabica dei giovani: quella quasi classica e un po’ stereotipata degli “angeli del fango” per l’alluvione della Romagna e quella diabolica del gruppo che stupra una coetanea; quella di vittime – le ragazze vittime di violenze, in primis, e poi gli ennesimi giovani morti sulle strade o sui binari dell’alta velocità – e quella di carnefici, per esempio alla guida di un Suv per un selfie estremo, alla caccia di popolarità social. La prima indicazione di metodo sembra proprio questa, evitare di costruire rappresentazioni di una generazione a partire dalla cronaca. Proviamo allora a prendere di quegli episodi solo uno, fra i più odiosi, lo stupro di gruppo, per chiederci come sia possibile arrivare a tanto. Da adulti il movimento naturale è l’ancoraggio alla propria esperienza: tutti abbiamo avuto 16 anni, in molti abbiamo visto una periferia degradata, l’adolescenza in gruppo è un vissuto comune, e così via, eppure nemmeno questo metodo funziona, la verità è che non abbiamo quella prospettiva. Proviamo ad avvicinarci da un’altra parte, a partire da un laboratorio di ricerca fra pari che ho condotto in un liceo cattolico milanese, a prevalenza femminile, nel 2022, sul tema della mercificazione dei corpi e della prostituzione.

Estraggo dal lavoro fatto insieme le scoperte più pertinenti. Ragazze e ragazzi hanno oggi molto chiaro in mente che i loro corpi sono mercificati, sfruttati da diverse filiere produttive, fotografati e modificati in post-produzione e stereotipati. Questo è un mondo che conoscono, che non li scandalizza e non genera rabbia; anche se quei modelli di bellezza li patiscono e sono spesso causa di sensi di inadeguatezza non è qui il problema, se non quando si fa anoressia o bulimia. Uno sguardo ancora più laico ce l’hanno verso il porno: il primo incontro avviene col possesso del cellulare, evento che si colloca di solito oggi fra la fine del ciclo di scuola primaria e l’avvio della secondaria di primo grado. Quindi alle superiori è per la maggior parte di loro un passaggio avvenuto anni prima, che non suscita più alcuna curiosità, non ci sono risatine, è un tema come un altro, forse più interessante.

Attenzione, si tratta di pornografia digitale, lontana anni luce dalle sale a luci rosse vietate ai minori e da riviste e fumetti di quel genere, insomma dalla matrice esperienziale dei loro genitori. La precocità dell’accesso comporta una precocità del primo rapporto sessuale? Non ce lo siamo chiesto, ma la letteratura di ricerca sembra dirci di no, forse si è anticipata per qualcuno/ a, avviene per lo più in adolescenza, nella stagione delle superiori, ma la precocità dei consumi non ha automaticamente trainato i comportamenti. La conseguenza è invece un’altra, è il porno che ha educato alla sessualità e ha plasmato gli immaginari, senza che l’esperienza diretta potesse mitigarne le rappresentazioni, in contemporanea.

Diciamolo, il porno si è preso uno spazio lasciato vuoto dalla nostra cultura, perché il sesso è assente dai programmi scolastici e dai discorsi in famiglia e dalla maggior parte dei prodotti culturali, solo le serie Tv hanno avuto il coraggio di affrontarlo, e molti devono a quelle anche la loro educazione sentimentale. Ma avere la pornografia come fonte, a volte esclusiva, può fare disastri, perché si tratta di una rappresentazione dove i corpi sono oggetti, comandati da uno sguardo maschile, spesso violento, i tempi sono falsati dal montaggio, i gesti e i movimenti sono irrealistici, le forme rispondono a canoni del genere e non a quelle reali. Insomma, l’amore non si fa così, ma non stupisce che nel racconto dello stupro di gruppo il loro riferimento fosse a quel mondo.

Ma c’è un’altra novità nella pornografia digitale, questa davvero estranea all’esperienza dei genitori, perché sorta negli ultimi anni: oggi il porno non solo si può consumare facilmente, ma si può anche fare facilmente. La parola che ricorre di più in aula è “Onlyfans”, la piattaforma da cui qualunque adolescente può “postare” proprie immagini ricavandone denaro, a volte molto denaro. È per loro una sorta di frontiera della prostituzione, senza contatto, ma molto più remunerativa, quando funziona. La prostituzione stessa è per lo più accettata come scelta personale, qualcuno e qualcuna la denigra apertamente come immorale, ma la posizione prevalente è quella di non giudizio, “liberi tutti” di fare del proprio corpo quel che si vuole, se non ci sono costrizioni. Per le ragazze presenti il rischio che vedono più prossimo è un altro, anche questo del tutto estraneo all’esperienza degli adulti, il revenge porn, la vendetta di un ex o di un amico che diffonde nelle chat di scuola o fra amici immagini di nudo, regalate nell’intimità di una relazione che si pensava sicura ed esclusiva.

Per tornare all’episodio, la diffusione delle immagini della violenza del gruppo – ma in un certo senso anche quelle dei loro volti per vendicare la vittima – è forse parte di un “fare pornografia” che è già prassi, perché la messa in scena di se stessi e delle proprie imprese – e di conseguenza la loro ridicolizzazione – è il vero demone di tutti.  

Senza che fosse previsto, dal laboratorio entra di prepotenza un altro argomento, come fosse inevitabile parlarne, lo chiamano il catcalling, ovvero le molestie subite per strada dalle ragazze. A domanda diretta, tutte (ribadisco, tutte) le ragazze presenti, circa 80, dichiarano di averne avuto esperienza diretta, in forme diverse: qualcuno che fischia, ti insegue, si mostra, ti provoca, ti importuna sull’autobus, ti minaccia, ti apre la portiera… Si capisce che per le ragazze la strada è un luogo estremamente insicuro, popolato di minacce, portate da ragazzi ma più spesso da adulti, da cui ci si difende portando in borsa lo spray al peperoncino, facendo videochiamate per strada o fingendo di farle mentre si cammina per dissuadere i malintenzionati, stando in gruppo. Quando chiedo se abbiano mai usato il taxi per evitare queste situazioni mi rispondono: «Un uomo solo nella sua auto? Scherziamo? Mai, solo se siamo in 3 o 4» e io resto interdetto, rendendomi conto di quanto sia lontano dalla loro prospettiva. Ma restano perplessi anche i loro compagni di scuola maschi, presenti, che non immaginavano quella paura e quel senso di minaccia, perché loro non lo vivono, e così si rende evidente di quanto fosse importante parlarne insieme.

* Docente universitario e scrittore, è tra i fondatori della cooperativa Codici Ricerche a Milano. Ha collaborato al film Futura, presentato a Cannes nel 2021  

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