INCHIESTA

Chi “educherà” l’intelligenza artificiale?

Tra pregiudizi, opportunità incontestabili e pericoli più che potenziali, restano ancora sullo sfondo delicate questioni etiche

Considerata da molti la tecnologia del futuro, è in realtà già presente in ogni aspetto della nostra vita. Qui pubblichiamo qualche stralcio

Oggi si parla molto di intelligenza artificiale, Artificial intelligence (Ai), un sistema intelligente che risolve un problema ottenendo il miglior risultato con le informazioni a disposizione. Più di 70 anni fa l’impegno preso a Dartmouth fu di cominciare a lavorare allo sviluppo di questa tecnologia per far sì che risolvesse compiti sempre più complessi, e che fosse in grado di apprendere dagli errori. Oggi quell’obiettivo si può toccare con mano.

I progressi dell’intelligenza artificiale non sono nati dall’oggi al domani. Il motore che spinge questa tecnologia sono i dati, che possiamo definire come la rappresentazione digitale della realtà o di un fenomeno. A spiegarcelo nel dettaglio è Mauro Bellini, giornalista e direttore delle testate Digital360. «L’intelligenza artificiale velocizza il processo lavorando su una mole di dati sempre più vasti e significativi».

Le intelligenze artificiali hanno aperto interrogativi sulla trasformazione del mercato del lavoro o sulla sostenibilità ambientale. Ma ancora più problematici sono i risvolti etici. «Già di per sé tutte le tecnologie hanno risvolti etici, perché possono essere utilizzate per il bene come per il male, ma con l’intelligenza artificiale si è introdotta l’autonomia decisionale delle macchine», Salvio Vicari, professore senior di gestione della tecnologia dell’innovazione all’Università Bocconi di Milano.

Va considerato inoltre il profilo dell’educatore delle intelligenze artificiali. Una responsabilità che il professor Vicari consiglia di non delegare a chi potrebbe agire sotto influenza di interessi economici.

L’auspicio del professor Vicari è che questi temi siano affrontati al più presto. «Non stiamo parlando di fantascienza. La soluzione più auspicabile al momento è di non lasciare alla singola entità la decisione, ma che comitati etici affrontino il problema. Alcuni principi devono valere a livello generale, come già accade con le Nazioni Unite. Sul tema ci sono già comitati in Europa che se ne stanno occupando, ma il mio timore è che la consapevolezza all’infuori del dibattito accademico non sia matura».

Tratto dal numero 3 (marzo 2023) de “Il Segno”