Di fronte alla crisi economica e ai problemi ambientali, due esperti del settore si confrontano sul “Segno”. Qui pubblichiamo uno stralcio
Il fascino intramontabile del caminetto, la sua atmosfera. Ancora più gradita se permette di spegnere la caldaia a metano, con i tempi che corrono. Ma davvero nell’inverno della guerra in Europa e della crisi energetica un ciocco salverà i nostri risparmi? E, soprattutto, siamo sicuri che questa scelta non sia disastrosa dal punto di vista ambientale?
Secondo Guido Lanzani, responsabile qualità dell’aria di Arpa Lombardia, «contrariamente a quanto non si creda la combustione di legna e pellet è molto inquinante. Nel bacino padano il 42% delle emissioni di pm10 primario, cioè quello emesso nell’aria sotto forma di particelle solide (un’altra parte di pm10, invece, si forma direttamente in atmosfera per effetto di reazioni chimiche secondarie), arrivano dalla combustione non industriale, cioè da riscaldamento.
Posto che bruciar legna non è ecologico, possiamo chiederci se almeno sia economico. Secondo Valter Francescato, direttore tecnico di Aiel – associazione di imprese che raggruppa le aziende che lavorano nei vari segmenti della filiera legno-energia – al momento il pellet non è più conveniente rispetto al gas naturale: «Prima del conflitto in Ucraina e della conseguente crisi energetica – spiega – il pellet costava intorno ai 65 euro per megawattora mentre il metano per il riscaldamento domestico intorno ai 90 euro. C’era quindi un margine del 20-30% del risparmio con il pellet. La legna da ardere, a 40 euro per megawattora, era ancora più conveniente. Adesso pellet e gas sono entrambi intorno ai 150 euro, con un margine di convenienza tra uno e l’altro combustibile praticamente nullo.