Politica

Giorgia Meloni, “madre della nazione” o “regina guerriera”?

La nuova presidente del Consiglio passerà alla storia come prima donna a Palazzo Chigi. La sua cultura politica è espressione di una concezione inegualitaria e gerarchica degli esseri umani
Giorgia Meloni, durante la tradizionale cerimonia della campanella (Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

Su “Il Segno” di dicembre pubblichiamo l’Opinione sulla leadership del premier in rosa a poche settimane dalla sua elezione

Per la prima volta in Italia una donna, Giorgia Meloni, è presidente del Consiglio dei ministri. Il “soffitto di cristallo” della politica si è rotto, cioè si sono superate quelle barriere sociali e culturali che si opponevano alla concreta possibilità per una donna di raggiungere Palazzo Chigi. Per questo motivo Giorgia Meloni passerà alla storia.

Lei nella sua vita ha già stabilito altri record politici: prima donna a capo di un movimento giovanile di destra (Azione giovane), ministro più giovane della storia repubblicana (della Gioventù nel Governo Berlusconi IV, 2008-2011), prima donna a guidare un partito – portando Fratelli d’Italia dal 4% al 26% nel giro di una legislatura, – prima donna italiana leader di una grande famiglia politica nel Parlamento europeo (Conservatori e riformisti europei).

Ora che Giorgia Meloni è passata dalla piazza al Palazzo, dalla protesta urlata alla responsabilità istituzionale, quale sarà il suo stile di leadership? Essere la prima donna presidente del Consiglio è un traguardo che andrà a beneficio anche delle altre donne e di quelle minoranze che in Italia faticano a veder riconosciuti i propri diritti?

Nella sua autobiografia (pur così giovane ha già scritto della sua vita!) emerge tutto lo spirito battagliero della sua passione politica. Non esita a definirsi «un soldato»; per lei, combattente intrepida, «il capo deve essere un capo, deve dimostrare che è il più forte, il più coraggioso». Giorgia Meloni cita Margaret Thatcher che leggeva una poesia di Charles Mackay, nei momenti difficili: «Non hai nemici, dici? Se non ne hai, è infimo il lavoro che hai fatto».

Quando a margine del primo Consigli dei ministri si dichiara «fiera» di aver adottato provvedimenti ispirati a legge e ordine, mira ad aumentare il numero dei suoi nemici? E se lo stile di leadership femminile non confezionasse antagonisti a tutti i costi? Se non fosse “contro” qualcuno, ma inclusivo e rispettoso delle diversità? Se fosse una leadership più collaborativa, generatrice di fiducia e dunque di delega, capace di dialogo, proprio perché portatrice di una visione alternativa al dominante modello di potere mascolino? Di donne che, appena raggiungono posti di responsabilità, incarnano uno stile di leadership peggiore di quello muscolare ne conosciamo già altrove. In politica ce lo risparmieremmo volentieri.

La cultura politica di cui Giorgia Meloni è espressione ha una concezione inegualitaria e gerarchica degli esseri umani. Lei stessa, nella sua autobiografia, ricorda che nelle sezioni di destra in cui si è formata politicamente «vigeva il principio che tutti gli uomini di valore sono fratelli». E chi attribuisce il “valore” alla persona umana? La presidente del Consiglio si definisce «una donna che crede che l’onore sia la cosa più importante da salvaguardare». Ma il “valore” e l’“onore” come si misurano? Nessuna decisione politica può stabilire il valore delle persone umane, che è antecedente a qualunque organizzazione statuale. È auspicabile che la leadership femminile di Giorgia Meloni non resti impantanata in simili calcoli.

La storia di alcuni Paesi europei ci ha consegnato donne leader che hanno raggiunto il potere in momenti difficili. Ci riferiamo a due delle più influenti e longeve donne di governo mai comparse sulla scena politica: Margaret Thatcher – prima donna premier del Regno Unito dal 1979 al 1990 – e Angela Merkel – prima Cancelliera federale della Germania, dal 2005 al 2021, – entrambe scelte dal proprio partito conservatore in una fase di turbolenza. Tutte e due donne che, sebbene non avessero una grande esperienza politica alle spalle, avevano il vantaggio di rappresentare la novità e il cambiamento. Su di loro si è investito scommettendo nella loro capacità di sanare situazioni conflittuali e divisive. Su Margaret Thatcher e Angela Merkel pesavano due modelli contrapposti di leadership femminile: quello della “madre della nazione”, che governa con l’ascolto e la mediazione, e quello della “regina guerriera”, ben incarnato dalla premier britannica, non a caso soprannominata la “Lady di Ferro” per la rigidità del suo stile politico.

Giorgia Meloni ha costruito la sua immagine di leader assertiva e decisa, ma allo stesso tempo rassicurante. Se il suo stile di leadership sarà più simile a quello della “madre della nazione” o della “regina guerriera” sarà il tempo a svelarlo. Avrà uno stile di governo inclusivo a vantaggio dei più deboli e in cui i diritti non si trasformano in privilegi solo per pochi? Oppure finiranno per prevalere i risoluti tratti identitari della sua cultura politica, dove le libertà individuali hanno la meglio sui legami sociali?

Un’ultima osservazione. Sarebbe bello che qualunque ulteriore considerazione da parte dei media sulla leadership femminile di Giorgia Meloni avvenisse al netto di ogni valutazione sull’altezza dei tacchi, sui colori dei vestiti o sull’acconciatura, anche perché l’accanimento su questi aspetti dell’immagine si perpetua sempre quando sono le donne a ricoprire incarichi pubblici.