Sono in 22, età media 31 anni (tre vicini ai 40, uno ne ha 58) e, dopo 6 di preparazione, l’11 giugno 2022 saranno ordinati nuovi sacerdoti nel Duomo di Milano. La giornalista Elena Parasiliti, insieme al direttore Fabio Landi, li ha intervistati nel seminario di Venegono Inferiore per la storia di copertina de “Il Segno” di giugno. Pubblichiamo di seguito le prime righe dell’articolo.
Abbiamo imparato a conoscerli in questi mesi. Santini su un tableau appeso in bacheca. Un volto, più o meno giovane, un sorriso, aperto o appena accennato, un nome preceduto da quel “don” che verrà pronunciato infinite volte tra le navate delle chiese, sui campi dell’oratorio, per strada. Guardati con curiosità, affetto, spesso oggetto del “toto prete” che i fedeli sparsi nella diocesi improvvisano, in attesa (sempre di più) di nuovi pastori. Perché ormai è chiaro, siamo in tempi di carestia: secondo la Cancelleria Arcivescovile i preti oggi nella Chiesa di Milano sono 1.678, di cui 701 già in età da pensione (over 68 anni) e solo le parrocchie a cui far fronte son ben 1.108, a cui si aggiungono gli oratori, le cappellanie in università e ospedali, e altri incarichi istituzionali. E anche il futuro appare tutt’altro che roseo: l’età media dei nostri don si aggira intorno ai 63 anni e gli aspiranti sacerdoti che adesso si stanno formando nelle sei classi del seminario sono appena 108. (…)
Comprensibile, allora, diventa la curiosità intorno a questi 22 preti novelli. Una sorta di “miracolo” visti i tempi, quasi fossero esemplari di una specie in via di estinzione. Ma essenziali per noi per capire la Chiesa che vivremo.
Sono loro, in ogni caso, che ci accolgono un venerdì sera in cima al colle che sovrasta questo comune del varesotto. Per sei anni è stato il loro Tabor: luogo di preghiera, ritiro, formazione, luogo che ha accolto dubbi, ferite, speranze. Un luogo che almeno tutti, una volta, hanno pensato di lasciare: “A me capita ogni giorno, quando la sveglia suona alle 6” ammette con una risata uno di loro. Più di uno lo ha anche fatto, chiedendo la possibilità di vivere per un anno fuori da queste mura, di approfittare del cosiddetto “tirocinio”, per sperimentare quale futuro lo attende, per rispondere alle domande che spesso (ed è un bene) frenano anche gli slanci più autentici. Lontano da questi corridoi dove i passi rimbombano e dove la fatica richiesta è certo quella di lavorare su di sé. Come ricorda don Enrico Castagna, uomo diretto e al contempo capace di gentile ironia, che li ha accompagnati in questo percorso, insieme a un’équipe di sacerdoti, educatori, psicologi. “Il seminario insegna un metodo di lavoro: qui prima di tutto si impara a imparare – aggiunge prima di congedarsi -. Il nostro compito non è quello di fare di questi uomini dei preti fatti e finiti, ma di aiutarli a leggere se stessi e la realtà senza irrigidirsi, lasciando piuttosto che lo Spirito plasmi la loro umanità, perché non si può sempre essere preparati a tutto nella vita”.