Il 5 gennaio del 2000 Regione Lombardia varava la legge numero 1 di quell’anno, recante le norme di riordino del sistema delle autonomie, in attuazione delle cosiddette “leggi Bassanini”: all’articolo 4 compariva, di fatto per la prima volta nel panorama normativo, la nozione di “buono scuola” da erogare «alle famiglie degli allievi frequentanti le scuole statali e non statali, legalmente riconosciute e parificate, al fine di coprire, in tutto o in parte, le spese effettivamente sostenute».
Il 2000 è stato un anno fondamentale per la scuola non statale italiana, in quanto nel mese di marzo il Parlamento approvò in via definitiva la legge 62, che dava finalmente attuazione al quarto comma dell’articolo 33 della Costituzione italiana, che prevede la parità tra le scuole istituite dallo Stato e quelle istituite dai privati per garantire agli alunni di queste ultime «un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Nasceva così, con il nuovo secolo, anche l’attuale sistema nazionale di istruzione, nel quale le scuole statali e quelle paritarie rilasciano i medesimi titoli di studio e alle famiglie di tutti gli alunni sono garantiti contributi per renderne possibile la frequenza, a carico delle risorse per il diritto allo studio a disposizione delle Regioni italiane.
I buoni scuola sono stati riformati prima nel 2002 e poi definitivamente con la legge regionale numero 19 del 2007 (“Norme sul sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia”) che ha definito il vigente meccanismo della “Dote scuola”, articolata in una pluralità di finanziamenti dedicati alla strumentazione didattica, agli alunni meritevoli e al sostegno alla disabilità in ambito scolastico.
Nel primo anno di attuazione (2001) gli stanziamenti di Regione Lombardia erano pari a 30 milioni di euro, nell’ultimo bando (2024) gli stanziamenti per i buoni sono stati pari a 28 milioni di euro. Si possono ottenere contributi da un minimo di 300 euro, per la retta di scuola primaria di chi ha un Isee superiore a 28 mila euro, fino a un massimo di 2 mila euro per una retta di scuola secondaria di chi ha un Isee inferiore agli 8 mila euro; a parità di indicatore vengono inoltre considerati i maggiori carichi familiari dei richiedenti (il cosiddetto “fattore famiglia lombardo”).
Va precisato che di questi fondi non beneficiano le famiglie degli alunni che frequentano le scuole dell’infanzia, a eccezione dei disabili delle scuole paritarie non comunali, dal momento che per questo ordine sono previsti altri e consistenti finanziamenti sia statali sia comunali, destinati direttamente alle istituzioni scolastiche per contenere i costi di frequenza.
In un recente convegno organizzato da Regione Lombardia le associazioni delle scuole paritarie hanno chiesto un adeguamento dei finanziamenti con l’istituzione di un buono scuola nazionale, che riduca le differenze tra chi frequenta le scuole paritarie nelle diverse Regioni e dia la possibilità a queste istituzioni di allargare il proprio servizio pubblico anche a chi ha meno disponibilità economiche.
Lo stanziamento complessivo andrebbe inoltre aumentato in relazione alla pur molto contenuta crescita dell’importo delle rette dalle scuole paritarie della nostra Regione, che in questi venticinque anni hanno dovuto far fronte a numerose crisi economiche e gestionali, mantenendo un costo di frequenza che in media non supera i 5-6 mila euro annui a fronte di un costo medio studente (Cms) che il Ministero dell’istruzione ha certificato da un minimo di 6.497,58 euro per un bambino di scuola dell’infanzia a un massimo di 7.163 euro per uno studente di scuola secondaria di secondo grado (nota Ministero dell’istruzione e del merito 3363 del 23 gennaio 2024).
Più in generale andrebbe riordinata tutta la normativa, regionale e nazionale, relativa alle scuole paritarie a un quarto di secolo dalla sua contemporanea entrata in vigore, anche in ragione del superamento oramai definitivo delle contrapposizioni ideologiche che nel secolo scorso avevano ritardato di oltre cinquant’anni l’attuazione del dettato costituzionale. Soprattutto, andrebbe definitivamente acquisito che il ruolo pubblico di queste istituzioni, anziché costituire un onere per lo Stato, consente la piena attuazione del diritto allo studio, come dimostrato durante la recente pandemia: se, infatti, le scuole non statali avessero allora chiuso i battenti, a fronte della crisi sanitaria ed economica, non si sarebbe potuto far fronte alle nuove richieste di iscrizioni alle scuole statali e questo spinse il Governo di allora ad agire con un contributo straordinario per le famiglie non più in grado di sostenere il costo delle rette. Oggi il costante calo delle nascite rischia di ripresentare a breve la stessa situazione, dal momento che le scuole paritarie si reggono in maniera praticamente esclusiva sulle rette versate dai frequentanti.
Ma anche il mondo cattolico si deve interrogare sull’effettiva necessità della presenza di scuole cristianamente ispirate, che costituiscono la maggioranza degli istituti paritari: il sostegno di queste istituzioni non può essere infatti solo preoccupazione della gerarchia o degli enti religiosi o laici che le promuovono, ma deve riguardare tutta la comunità, non solo per preservare un importante lascito della nostra tradizione culturale, ma per garantire ai nostri giovani la possibilità di seguire anche in futuro un percorso educativo che risponda ai nostri valori.
Giuseppe Bonelli è direttore Ust di Como e direttore dell’ufficio V dell’UsrLombardia (Ordinamenti scolastici e politiche per gli studenti)