Quando nel 1992 scoppiò il conflitto in Bosnia ed Erzegovina, la milanese Silvia Maraone, allora diciassettenne, fu tra i tanti giovani che si mobilitarono per portare aiuti alle vittime della guerra. La sua famiglia accolse due profughi da Mostar e, poco dopo, Silvia partì come volontaria nel campo di Novo Mesto in Slovenia, esperienza che segnò l’inizio del suo impegno nei Balcani. Oggi coordina i progetti di Ipsia, l’Ong delle Acli, nella regione.
Tra il 1991 e il 2000 circa ventimila volontari italiani, appartenenti a oltre 1.200 gruppi, parrocchie, scuole e associazioni, si attivarono per aiutare le popolazioni civili della ex Jugoslavia. Fu un movimento vasto e trasversale — dal cattolicesimo sociale ai pacifisti, dai sindacati ai gruppi femministi — che mise in campo raccolte di aiuti, accoglienza ai profughi e missioni umanitarie, spesso rischiose. Alcuni volontari, come Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni, persero la vita durante le missioni di soccorso.
La Chiesa italiana ebbe un ruolo centrale, promuovendo preghiere, accoglienza e aiuti senza schierarsi con alcuna parte. Caritas ambrosiana coordinò le iniziative nella Diocesi di Milano, coinvolgendo associazioni e comunità di diaspora. Dopo l’accordo di Dayton del 1995, che pose fine alla guerra, l’impegno si trasformò in un’azione di ricostruzione e riconciliazione. Caritas italiana avviò il “Progetto Balcani”, mentre Ipsia proseguì il proprio lavoro nel cantone Una-Sana, dedicandosi al recupero del tessuto sociale e giovanile.
Negli anni Duemila la regione si è trovata ad affrontare nuove emergenze, come il flusso di migranti lungo la rotta balcanica. Anche in questa fase Ipsia e Caritas si sono attivate: nel 2017 hanno creato spazi di sostegno psicosociale nei campi profughi serbi e bosniaci, come il “Social Café”, luogo di accoglienza e normalità per persone in transito. Nel 2024 Caritas ambrosiana ha inaugurato a Bihać una struttura per minori stranieri non accompagnati, che rappresentano il 20% dei migranti nella regione.
Il legame tra Milano e i Balcani resta vivo anche grazie ad altre realtà, come la Fondazione Don Gnocchi, che nel 2004 ha aperto vicino a Mostar il centro di riabilitazione “Marija Nasa Nada”, offrendo oltre 108 mila trattamenti a bambini con disabilità e formando operatori locali.
Nel 2008 il sacerdote milanese don Giovanni Salatino ha coinvolto i suoi parrocchiani in attività di animazione per un orfanotrofio di Sarajevo. Da quell’esperienza è nato nel 2024 il progetto “StradaJevo”, che coinvolge giovani volontari e studenti in iniziative di sostegno e memoria.
A più di trent’anni dalla guerra, il filo che lega Milano alla Bosnia non si è spezzato: un intreccio di solidarietà, cooperazione e testimonianza che continua a promuovere pace e umanità tra le due sponde dell’Adriatico.
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