Nelle ultime settimane stiamo assistendo a un susseguirsi di aggiornamenti in merito al riarmo dei Paesi europei e del relativo piano comunitario, il cosiddetto ReArm Europe, vale a dire un piano straordinario per garantire il finanziamento della spesa militare nei prossimi anni. Sebbene questa sia in costante aumento dal 2014, l’idea che debba essere ulteriormente incrementata è oramai condivisa da tutti i Paesi.
A oggi vi sono comunque contrasti e differenze in merito alle modalità e alle capacità di finanziamento. Il pensiero di fondo è che una maggiore spesa militare dovrebbe garantire la nostra sicurezza poiché aumenterebbe la nostra capacità di deterrenza nei confronti della Russia. In realtà, l’idea che una maggiore disponibilità di armamenti possa in automatico determinare più sicurezza può essere contestata poiché il primo fondamento di questa non può che essere una robusta credibilità riconosciuta dai propri avversari. Noi tutti temiamo un’aggressione russa poiché, in fondo, la riteniamo credibile. Se questo può essere facilmente condiviso come pensiero allora è lecito chiedersi se il riarmo contribuisca alla credibilità dei Paesi europei. In questo senso, la risposta sembra essere negativa poiché i Paesi dell’Unione europea sul tema della difesa sono disuniti. Da un lato esistono posizioni politiche differenti e dall’altro dal punto di vista dell’architettura di difesa essa non è altro che la somma dei diversi sistemi nazionali.
Invero, l’Ue non è disarmata, ma è armata male, in maniera frammentata e disomogenea con un evidente deficit di cooperazione tra gli Stati.
Il paradosso, quindi, è che il riarmo in corso senza un efficace cambio di regole non potrà che aumentare la frammentazione già esistente. La frammentazione rischia di perpetuarsi nel tempo, andando a minare la credibilità dei Paesi per quanto attiene alla difesa e alla sicurezza. In altre parole, a questo maggiore riamo potrebbe seguire minore sicurezza.
Sono quindi necessarie nuove “regole del gioco” per favorire nuovi processi di integrazione nell’ambito della difesa e, in particolare, un’autorità europea per la difesa, indipendente dai governi, dovrebbe avere competenza su: (i) procurement comune di sistemi d’arma; (ii) commercio internazionale ed esportazioni di dispositivi e sistemi d’arma; (iii) meccanismi di suddivisione non solo della spesa generale, ma anche di quella allocata per le missioni di peacekeeping e altri interventi comuni. Tale evoluzione istituzionale dovrebbe essere anteposta alle nuove esigenze di spesa per evitare che un processo di riarmo con le vecchie regole renda la frammentazione europea nell’ambito della difesa non più correggibile negli anni futuri. In pratica: prima nuove regole e poi nuova spesa.
Se il tema del procurement è noto, gli altri due (commercio e meccanismi di suddivisione) lo sono meno, ma sono cruciali. I Paesi europei più grandi sono esportatori di armi. Le attuali normative e gli accordi sul controllo delle esportazioni rischiano di essere inefficaci poiché, in molti Paesi, lo Stato è contemporaneamente il principale esportatore di armamenti e l’ente preposto alla loro regolamentazione.
L’istituzione di un’agenzia europea indipendente dotata di poteri sanzionatori potrebbe ridurre le violazioni della normativa europea, in particolare impedendo il rilascio di licenze di esportazione di armamenti verso Paesi che non rispettano i diritti umani o in cui sono in corso conflitti armati, come previsto dalla legislazione dell’Unione europea e dal trattato Att (Arms trade treaty) approvato in sede Onu.
Il secondo ruolo dovrebbe essere quello di amministrare la divisione della spesa e degli oneri per Paese, monitorando le esigenze e i fabbisogni.
Il rischio in questa fase, infatti, è che la spinta al nuovo riarmo europeo sia fonte di disuguaglianza riproponendo la divisione tra nazioni ricche e povere. Se la sicurezza dipende dalle dotazioni militari a disposizione dei governi, le prime saranno inevitabilmente avvantaggiate rispetto alle seconde.
Nell’Unione europea, dove il riarmo in corso sta seguendo le linee di frammentazione e disuguaglianza già esistenti, i Paesi più grandi e ricchi (in particolare quelli con un’industria militare sviluppata come Francia, Italia e Germania) godranno inevitabilmente di un vantaggio rispetto a quelli più piccoli. Se questo processo non sarà accompagnato da una riforma che preveda meccanismi redistributivi e compensativi, la tanto auspicata difesa comune non solo non si realizzerà, ma diventerà ancora più lontana.
Per chi crede che la sicurezza si costruisca attraverso il potenziamento militare, ciò significa accettare che alcuni Paesi saranno inevitabilmente meno sicuri di altri, più vulnerabili alle minacce esterne. Tuttavia, se in alcuni Stati la pace non è garantita per l’assenza di meccanismi di difesa comparabili, allora non si potrà mai ottenere una sicurezza diffusa e stabile. La consapevolezza in merito a questi meccanismi da un lato potrebbe minare la fiducia interna all’Unione e dall’altro potrebbe contribuire al deficit di credibilità prima evidenziato.
In ultima analisi, il riarmo potrebbe essere più pericoloso e foriero di instabilità poiché nella forma attuale non contribuisce a instaurare una maggiore credibilità. Nel contesto europeo, solo una maggiore coesione e unione di intenti possono costituire strumenti reali di costruzione della sicurezza e anche della pace. Una maggiore coesione tra i Paesi membri, attraverso una credibile evoluzione istituzionale come quella descritta, potrebbe valere più di tante armi.
Raul Caruso è professore ordinario di Economia politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore