Sport

Annika, giocare a calcio nello spirito del Vangelo

Suor Annika Fabbian è capitana della Nazionale italiana delle religiose. Partite e tornei per fini benefici, incontri di testimonianza e dialoghi con i giovani sui valori della vita

La passione per il calcio le nasce da giovanissima, nel campetto della parrocchia. Dalla danza classica agli scarpini bullonati, nelle squadre giovanili del Vicenza fino al Marano, una squadra della provincia. Annika Fabbian, vicentina, a 23 anni riceve però una chiamata più importante e decide di diventare suora, consacrandosi nella Congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori. Si laurea in Restauro e storia dell’arte medievale e bizantina, insegna poi Storia dell’arte alle scuole superiori fino ad arrivare a essere responsabile del museo e della biblioteca della sua Congregazione.

Ma il calcio le resta nel cuore: nel 2021 Moreno Buccianti, un passato da giocatore e allenatore con patentino federale, dal 2005 Ct della Seleçao internazionale sacerdoti calcio, decide di dar vita anche a una “Nazionale” di calcio delle consacrate. Buccianti chiama per prima proprio lei: «Un prete della Seleçao – spiega suor Annika  – mi conosceva e gli ha parlato di me…».

Nasce così il Sister Football Team, di cui la suora vicentina è capitana e bomber indiscussa: circa venti giocatrici appartenenti a diciotto Congregazioni che giocano partite o tornei nei fine settimana, cercando di conciliare l’attività con gli impegni degli Istituti o delle parrocchie in cui sono attive.

«Siamo un gruppo molto unito – racconta -, anche chi non può giocare ci sostiene da casa con la preghiera. Lo scopo è sempre benefico, talvolta legato a finalità particolari. Nel mese di novembre, per esempio, facciamo un torneo a sostegno di iniziative contro la violenza sulle donne, a cui abbiniamo una tavola rotonda».

«Sono momenti importanti – continua – per dialogare e condividere esperienze legate allo sport, ma anche alla vita di tutti i giorni».

Giocare a calcio con lo spirito del Vangelo: con agonismo, certo, ma nel rispetto dell’avversario. Scendendo in campo per beneficenza o per sensibilizzare su alcune tematiche: «Mostriamo che si può giocare non per un tornaconto personale, ma per aggregare, fare del bene, aiutare gli altri». E anche per lanciare un messaggio educativo, a cui suor Annika tiene molto: «Oggi nello sport molti genitori caricano i figli di aspettative eccessive, pretendendo che siano i migliori in assoluto. Ma un ragazzino deve prima di tutto divertirsi, senza pensare di diventare Messi. E poi deve imparare a giocare con gli altri, perché non si vince da soli, ma con la squadra. Quando facciamo le nostre partite, cerchiamo di parlare con genitori e figli, mettendo in evidenza i valori formativi dello sport, che davvero è una scuola di vita».

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