Dialogo

Ovadia: «Nel Natale ritrovo lo spirito dello Shabbat»

Il grande attore e scrittore e il suo rapporto con la festa cristiana: «È la nascita di un bambino ebreo a cambiare la storia del mondo, e non va dimenticato. Trovo triste la bulimia di consumo e di spreco, mi piace il vostro Avvento, che dispone ad accogliere lo splendore di un giorno libero da tutto»

Faccio visita nella sua casa milanese a Salomone Ovadia (detto Moni), ebreo, attore e scrittore. Mi onora della sua amicizia e più volte ha accolto i miei inviti a parlare alla mia comunità parrocchiale. Parliamo attorno al grande tavolo della cucina, a partire dalla mia domanda: che cosa è per te, ebreo, il Natale?

«Anch’io condivido con i cristiani e gran parte del mondo occidentale il Natale di Gesù, il 25 dicembre – risponde Moni -. È la nascita di un bimbo ebreo. Non bisogna dimenticarlo, mentre ritornano i fantasmi dell’antisemitismo, del disprezzo per il mio popolo. Ed è un evento che cambia la storia del mondo perché con questo bimbo, portatore dell’annuncio messianico, l’universalismo già presente nell’ebraismo si volge all’intera umanità. Sono gli ebrei che da sempre ci ricordano che siamo tutti figli di Adamo: una certezza che è principio di pace, perché nessuno potrà mai dire che il suo progenitore è migliore di un altro. L’universalismo ebraico viene rilanciato con Abramo, perché “in lui saranno benedette tutte le famiglie della terra”. A me interessa questa nascita che non è né pomposa, né magniloquente, ma all’insegna della massima umiltà. Quel bimbo è stato accolto come noi oggi accogliamo gli extracomunitari: allora non c’era posto per lui, oggi non c’è posto per loro. Purtroppo tra quella nascita e il nostro tempo si è scavata una voragine. Trovo così triste, così volgare questa bulimia di consumo, di esibizione, di spreco…».

E allora dov’è finito il Natale?

Certo non in qualche operazione dell’Unione commercianti, ma piuttosto negli innumerevoli gesti di prossimità ai piccoli, ai poveri, agli extracomunitari, ai malati… Gesti che non mancano, ma che restano ai margini. Ho il massimo rispetto per il buon lavoro e il giusto guadagno, ma provo una grande sofferenza ogni volta che l’imminenza del Natale scatena la sarabanda degli acquisti. È bello scambiare un piccolo dono. In casa nostra facciamo così: tra noi familiari ci scambiamo un piccolo dono, un libricino, un piccolo oggetto, mentre le risorse di cui disponiamo le portiamo ad associazioni religiose o laiche, senza distinzioni, ma tutte ugualmente impegnate ad assicurare almeno una tregua di umanità. Io credo che abbiamo bisogno che torni il Natale, festa del dono, del gesto non dettato dal calcolo e dal tornaconto, ma solo dalla gioia gratuita di condividere.

Qual è per te lo spirito del Natale?

Nel Natale io ritrovo lo spirito dell’anno sabbatico e dello Shabbat. L’ebreo vero cessa ogni attività e si prepara ad accogliere la «sposa sabbatica». Ricordo un soggiorno a New York e la necessità di fare acquisti per il mio lavoro teatrale nella 47a Strada, in un importante emporio tenuto da ebrei ortodossi. Era venerdì pomeriggio.  Alle 15.30 una gentile commessa ci avverte che stanno chiudendo. Alla mia replica, «Ma lo Shabbat inizia alle 18…», risponde: «E lei che è ebreo vuole che io riceva lo Shabbat così, con la divisa da lavoro, senza una doccia e una adeguata preparazione?». È bello l’uso occidentale di vivere il Natale con qualche giorno di vacanza, e in particolare nel mondo cattolico di prepararlo con il tempo di Avvento, che ci dispone ad accogliere lo splendore di un giorno libero da tutto, tranne che dalla gioia di stare con gli altri, nella famiglia, con i figli, con chi è solo o malato… Capisco la perdita, nella nostra cultura, della verità del Natale. Ma non è facile nemmeno per un rabbino vivere lo Shabbat, così come per i cristiani vivere il Natale. Si racconta di un rabbino grande appassionato di golf, che proprio un sabato non voleva fare a meno di giocare. Allora si travestì per non essere riconosciuto e andò nell’unico campo aperto di sabato, naturalmente non frequentato da ebrei. Quel giorno l’Eterno sembrava particolarmente benevolo con il rabbino, che con un solo colpo fa tutte le 18 buche. Mosè, che dall’alto seguiva il gioco, si rivolge all’Eterno chiedendo ragione di quella singolare grazia per un rabbino che non rispettava il sabato. E l’Eterno replicò: «Ma a chi mai il rabbino potrà raccontare quello straordinario risultato?».

«L’Eterno è un po’ sadico…» è il suo sorridente congedo.

Articolo tratto dal n. 12 (Dicembre 2021) de il Segno