Ecologia

Un aiuto per le parrocchie: le Comunità energetiche rinnovabili

L’unione fa la forza: mettersi insieme per produrre e consumare energia pulita abbatte i costi e fa bene all’ambiente

Sono molte le parrocchie e gli enti religiosi che si sono uniti per formare una “Comunità energetica rinnovabile” (Cer) per produrre e consumare energia pulita.

Un processo che però non è scontato: sia tecnicamente che sotto il profilo burocratico e legislativo. Il Tavolo tecnico sulle Comunità energetiche rinnovabili della Cei ha quindi pensato di pubblicare un Vademecum, una sorta di mappa per la costituzione e la gestione di una Cer. Un documento che analizza anche le motivazioni che hanno portato la Chiesa a occuparsi di Cer all’interno della più ampia riflessione sulla cura del Creato ispirata dalla “Laudato si’“.

Ne parla su Il Segno di luglio/agosto Daniele Ferrari, amministratore unico di Gestione servizi e acquisti srl (Gsa), la società voluta nel 2017 dalla Diocesi per offrire al territorio (parrocchie, scuole, enti) un servizio nella gestione degli acquisti. Alla domanda su cosa siano le “Comunità energetiche rinnovabili”, Ferrari spiega che consistono in un accorpamento di più realtà che si uniscono con diversi ruoli: dai produttori di energia, cioè coloro che fanno un investimento per realizzare gli impianti fotovoltaici, ai consumatori, cioè coloro che “mettono insieme” i loro consumi nella comunità energetica, a chi incarna il doppio ruolo di produttore-consumatore. Il fine di questo accorpamento è arrivare all’ottimizzazione di un’autonomia energetica. Le comunità energetiche, idea interessante sotto diversi punti di vista, sono come vestiti “su misura” che vanno tagliati con attenzione sulle esigenze che si devono soddisfare. La Comunità energetica non va inoltre considerata la panacea di tutti i mali. Anche se i principi della comunità, della disuguaglianza climatica, della povertà energetica, del risparmio e dell’energia green sono più che condivisibili, non è detto che sia una soluzione per tutti. In primis perché i pannelli fotovoltaici necessitano di un investimento importante.

L’intervista si può leggere su “Il Segno” di luglio-agosto