Don Massimo Pavanello, delegato diocesano per il Giubileo, approfondisce sul numero di luglio/agosto de Il Segno i contenuti dell’Anno santo. Riportiamo il testo del suo contributo.
Il motto giubilare del prossimo Anno santo è “Pellegrini di speranza”. Un annuncio con il quale si è familiarizzato in questi mesi preparatori e dal quale sono già scaturite molteplici ipotesi di declinazioni pratiche. Nel mondo ecclesiale e fuori, pertinenti e meno. Il discrimine è costituito dalla coerenza con il messaggio centrale della Bolla di indizione, “Spes non confundit”, la quale rilancia un punto nodale: «Credo la vita eterna. Così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. Essa, infatti, è la virtù teologale per la quale desideriamo […] la vita eterna come nostra felicità».
“Gaudium et spes” già affermava, del resto, che «se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione».
È questo futuro remoto che travasa speranza in ogni futuro prossimo. E persino nel presente. Il Papa lo crede. E sprona al cambiamento quotidiano. La cronaca, certo, non propizia la speranza. Ma non è un inedito. Il Pontefice, nel menzionato documento, ricorda il realismo di san Paolo il quale «sa che la vita è fatta di gioie e di dolori […]. Eppure scrive: Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza (Rm 5,3-4)».
L’annuncio giubilare, pertanto, trova forza e contenuto nella croce e nella risurrezione di Cristo.
Tanti sono gli ambiti – che la Bolla pontificia elenca – cui rivolgere il buon messaggio nel 2025. Settori in cui esercitare, sommamente, la virtù della pazienza. Dio per primo si mostra indulgente con ciascuno di noi. Come chiariva Paolo VI – nella “Apostolorum limina”, del 1974 – spiegando il puro significato della qualifica giubilare: «Poiché Cristo è la nostra indulgenza». Dopo aver attinto la virtù bambina nella grazia di Dio, ciascuno è chiamato a riscoprirla e a porla anche nei segni dei tempi che il Signore offre.
Segno apicale di speranza è la ricerca della pace per il mondo. Un favor vitae dalle molteplici ricadute. La vicinanza con i troppi che vivono in condizioni di disagio (detenuti, ammalati, poveri, migranti, succubi della iniqua distribuzione dei beni della Terra) è un altro appello giubilare. Le opere di misericordia, del resto, sono opere di speranza. Il prossimo Anno santo attende dote, inoltre, dalla sfera pancristiana. Esso coinciderà con i 1700 anni dalla celebrazione del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea, che ha raccolto in formula l’essenza dell’uguale Credo.
Sono molti i temi, quindi, che marcheranno le 34 “Giornate giubilari” celebrate a Roma. Tutte accomunate da un messaggio speranzoso.
L’articolo completo è pubblicato su “Il Segno” di luglio-agosto