Consigli pastorali

Per i laici è il momento dell’impegno

Alla vigilia del voto, il sociologo Maurizio Ambrosini riflette sul rinnovo degli organismi. Pubblichiamo un estratto dell’intervista pubblicata su Il Segno di maggio
Centro Pastorale Ambrosiano – sessione del consiglio Pastorale ambrosiano nel seminario arcivescovile di Seveso (Foto Agenzia Fotogramma)

Il 26 maggio si rinnoveranno i Consigli pastorali delle parrocchie e delle Comunità pastorali, secondo le nuove linee guida tracciate dal nuovo Direttorio approvato dall’arcivescovo Delpini lo scorso febbraio. Ne abbiamo parlato con Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università Statale di Milano e membro del Consiglio pastorale della parrocchia milanese di San Pietro in Sala.

Come è iniziato il suo impegno nel Consiglio pastorale della sua parrocchia?

Per tanti anni ho declinato l’invito del parroco: avevo figli piccoli, lavoravo in un’altra città e poi mi pareva un’attività onerosa e non particolarmente gratificante, lo confesso. Invece, all’ultima elezione, ho dato volentieri la mia disponibilità, conquistato dal clima di partecipazione, di letizia, di coinvolgimento che si respira nella mia parrocchia. Probabilmente la mia è un’esperienza fortunata. In generale, credo che la partecipazione dei laici nella vita della Chiesa non goda di grande favore, al momento. Come parliamo spesso di una crisi delle vocazioni sacerdotali e religiose, mi pare che ci sia anche, forse più ancora, una crisi di partecipazione laicale, che interessa non solo la Chiesa, ma tutto il mondo dell’associazionismo.

Quali gli ostacoli alla partecipazione più specifici dei Cpp?

Credo che uno dei problemi sia un certo clericalismo non confessato, che rimane diffuso. C’è un gran desiderio di avere dei “buoni” parroci e sacerdoti, con conseguenti critiche se non corrispondono alle nostre aspettative. Si pensa che la Chiesa siano i preti, noi siamo il loro pubblico e ci aspettiamo da loro un servizio adeguato ed efficiente. Si fa fatica a cogliere che, invece, la comunità siamo noi, che quindi dobbiamo metterci in gioco. Aggiungerei che quello dei Consigli pastorali è un equilibrio difficile, perché si tratta di una democrazia consultiva, chi partecipa non ha davvero il potere di decidere e questo a volte può essere motivo di frustrazioni e di disaffezione.

Il Direttorio per i Consigli di Comunità pastorale porta delle novità utili?

Ho visto nel Direttorio spunti molto belli. In particolare, ho apprezzato il riferimento al Sinodo minore “Chiesa dalle genti”, che suggerisce un’idea di ascolto, di apertura, di partecipazione, che va oltre i confini tradizionali delle comunità. Sarebbe bello che ci fosse almeno un consigliere di origine immigrata nei nuovi Consigli che saranno eletti tra poco. Un’altra cosa che mi ha impressionato positivamente è il limite dei tre mandati, che dovrebbe arginare un po’ il fenomeno della formazione di legami privilegiati, per cui si impegnano sempre le stesse persone, quelle più disponibili e legate alla parrocchia, magari da più generazioni di una stessa famiglia. Il limite dei mandati obbligherà naturalmente i parroci e i loro collaboratori a suscitare nuove vocazioni partecipative. Infine, trovo interessante anche la riorganizzazione dei rapporti tra Consiglio pastorale e Consiglio degli affari economici. Forse una direzione in cui si potrebbe lavorare di più, invece, è una maggiore apertura verso la società civile, magari attraverso la creazione di una Commissione del Consiglio pastorale che si confronti con le istituzioni, con i consigli di circoscrizione, con le altre associazioni del territorio. È importante evitare il rischio dell’autoreferenzialità.

Leggi l’intervista completa su “Il Segno” di maggio