Sono trascorsi dieci anni dal 29 luglio 2013, l’ultimo giorno in cui padre Paolo è stato visto vivo nella città di Raqqa, nel nord della Siria. Padre Jihad Youssef, monaco dal 1999, eletto nel 2021 superiore della comunità monastica di Deir Mar Musa al-Habashi (monastero di san Mosè l’Abissino), in Siria, ricorda le sue parole: «Prima di lasciare la Siria, abuna Bulos ci ha raccomandato di non aggrapparci a niente, nemmeno a Deir Mar Musa, di scappare sui monti se fossimo stati in pericolo di vita, perché non dovevamo rischiare la vita per custodire le pietre, poiché la nostra dimora è in Dio».
Sul numero di luglio/agosto de Il Segno si approfondisce la sua eredità spirituale a partire dalla pubblicazione del libro Il mio testamento (Centro Ambrosiano), con prefazione di papa Francesco.
Nel novembre 2011 l’espulsione di padre Paolo dalla Siria si fa concreta: si attuerà nel giugno 2012. È in quei mesi sofferti che Dall’Ogliodecide di raccogliere e consegnare alla sua comunità la memoria storica del percorso che ha portato alla fondazione dell’esperienza monastica nel deserto siriano, insieme alle coordinate fondamentali del suo pensiero. Propone così ai monaci e alle monache (in arabo), ma anche agli ospiti presenti, una serie di conferenze a commento del testo della prima bozza di Regola della comunità, redatta tra il 1997 e il 1998. Una Regola rimasta “non bollata”, ma che rappresenta un atto fondativo e il punto di partenza delle Costituzioni che hanno ricevuto nel 2006 il nullaosta da parte della Congregazione per la dottrina della fede. La Comunità ha curato una selezione di quelle conferenze, rimaste sinora inedite, che ora sono appunto tradotte e pubblicate. Ricorda padre Jihad: «Padre Paolo ci ha lasciati soltanto quando era sicuro che ce l’avremmo fatta da soli, e ripeteva spesso: dopo di me farete meglio».
Da luglio 2013 si sono succedute voci contrastanti e testimoni oculari le cui versioni sono impossibili da verificare, e poco sappiamo anche delle motivazioni che hanno spinto Dall’Oglio a rientrare in Siria clandestinamente dalla Turchia. Di certo a portare padre Paolo nella capitale dell’opposizione islamista al regime di Assad è stato il suo inesausto impegno di mediazione per la costruzione di un Paese nuovo, in grado di ricomporre il mosaico di appartenenze etniche e religiose della Siria e le tante fazioni in guerra.
A ottobre 2022 la Procura di Roma ha chiesto di archiviare l’inchiesta aperta contro ignoti per il reato di sequestro a scopo di terrorismo. Alla base della decisione, l’impossibilità di accertare lo svolgersi dei fatti che hanno portato alla sparizione di padre Paolo. Una decisione che non ha posto fine alla speranza dei familiari, degli amici e della sua comunità: la Siria, dopo dodici anni di guerra, è un Paese frammentato, con molte zone d’ombra. La guerra non è conclusa, i morti si stimano attorno a mezzo milione, i rifugiati interni sono quasi 7 milioni e più di 5 milioni quelli nelle regioni circostanti. Poi si sono aggiunti l’embargo, il crollo economico del vicino Libano, il flagello del Covid e la tragedia del terremoto. Oggi le Nazioni Unite stimano che 15 milioni di siriani necessitino di protezione e aiuti umanitari, su una popolazione complessiva di 22 milioni.
Racconta padre Jihad, siriano e originario di Lattakia, sul Mediterraneo: «La tragedia si è aggravata. Noi siriani ci siamo uccisi, odiati, divisi e abbiamo desiderato l’annientamento l’uno per l’altro. Durante questa guerra assurda, che ancora non finisce, abbiamo avuto paura. Mi sono chiesto: se Dio esiste, perché non fa nulla?».
Eppure la Comunità è rimasta: «A ogni sorgere del sole ho e abbiamo scelto di credere, di avere fede in Dio che c’è e che non ci abbandona. Ci siamo sentiti sostenuti e sollevati dalla preghiera di tante persone, cristiane, musulmane e non credenti. Abbiamo discusso e litigato se rimanere o abbandonare Deir Mar Musa. Siamo rimasti per fedeltà al Signore, che ci ha chiamati qui e che non ci ha chiesto di andarcene, siamo rimasti in solidarietà con i cristiani delle nostre parrocchie e con i nostri amici musulmani. Siamo rimasti guardando oltre e aspettando la seconda venuta di Cristo».
«Commentando la Regola monastica – è ancora p. Jihad a parlare – Paolo esprime tutto il suo pensiero teologico circa la Chiesa, l’ecumenismo, la relazione con l’ebraismo, la centralità della parola di Dio, la vita monastica e spirituale e la relazione con l’Islam. Queste pagine sono un ricco nutrimento spirituale, culturale, psicologico, religioso, sociologico, antropologico e teologico per la Comunità di Mar Musa, ma anche per tutti i consacrati e i battezzati e direi potenzialmente per ogni essere umano in ricerca».
(sintesi dell’approfondimento curato da Elena Bolognesi su Il Segno, anche autrice dello straordinario reportage fotografico, nonché curatrice e traduttrice del libro edito da Centro Ambrosiano)