ANNIVERSARIO

Il segreto di don Milani: amare i propri studenti

Nel centenario della nascita, su «Il Segno» di maggio il professor Innocente Pessina, già preside del Liceo Berchet di Milano e responsabile della Fondazione Don Lorenzo Milani per il Nord Italia, traccia un suo profilo
Don Lorenzo Milani tra i suoi alunni a Barbiana

Cento anni fa, il 27 maggio del 1923, nasceva a Firenze don Lorenzo Milani Comparetti. Quest’anno è dunque il suo centenario. Sono passati tanti anni, eppure ogni volta che si organizza un incontro per parlare della sua esperienza, ci sono sempre tante persone che ancora partecipano interessate a conoscerlo meglio, a saperne di più. Scuole, associazioni sindacali, culturali, parrocchie, addirittura partiti politici dimostrano interesse per la sua vita e per la sua esperienza sacerdotale ed educativa. Lo si cita spesso, a volte a sproposito, ma anche questo dimostra la sua presenza nel pensiero di molti.

Eppure ha vissuto solo 44 anni, di cui appena 13 a Barbiana; il luogo sperduto sul versante nord del Monte Giovi, nel Mugello, dove è diventato famoso per la sua esperienza educativa.

Da questo si può evincere che non bisogna necessariamente vivere a lungo per essere testimoni significativi e, soprattutto, non occorre vivere in una location “all’altezza”. Don Lorenzo ha vissuto poco ed è riuscito a parlare a tutti da una parrocchia insignificante. Il filosofo Erich Fromm, paradossalmente, aveva definito Barbiana «un pulpito sul mondo».

Lì, dove era stato mandato in castigo dalla Curia fiorentina e senza mezzi, era comunque riuscito a organizzare una scuola per i pochi giovani montanari della sua parrocchia. Scuola unica, totalizzante, che è diventata nel giro di pochi anni paradigma educativo per tutti coloro che si occupavano di scuola. Il riferimento scritto era un piccolo libretto – Lettera ad una professoressa – che divenne ben presto centro del dibattito sulla scuola italiana, ritenuta selettiva e borghese.

Nei primi anni Settanta tutti gli insegnanti desiderosi di provare nuove strade cercarono di copiare l’esperienza di Barbiana. Dunque: niente voti, niente bocciature, più tempo a scuola, attenzione agli studenti più in difficoltà, condivisione dello studio e crescita collettiva. Insomma, una scuola nuova e rivoluzionaria, che gettava nella spazzatura la scuola classista italiana.

Nascevano così le scuole a tempo pieno, poi a tempo prolungato, utilissime, per carità, a una società con entrambi i genitori al lavoro, ma assolutamente inadatte a essere una scuola migliore. La mancanza di voti (ricordate la follia del sei politico?), la non bocciatura che in realtà si era trasformata in non promozione. Agli studenti si offriva di meno con il pretesto di aiutare gli alunni più in difficoltà, di stare al loro passo, esattamente il contrario di quello che insegnava don Lorenzo. A Barbiana si dava un’offerta formativa più alta. Si dava di più.

Faccio un solo esempio. I primi sei studenti, giunti a Milano per conoscere la città, erano stati invitati anche ad assistere a un’opera lirica alla Scala: la Bohème di Puccini. Capite? Non uno spettacolino di varietà. E loro che fanno, lassù nel bosco? Passano mesi e mesi a studiare la trama di quest’opera e a sentirla con un vecchio grammofono. Per conoscerla e dunque per apprezzarla in pieno. Infatti la serata alla Scala fu un successo.

È questo allora l’insegnamento di don Lorenzo? Dare di più e non di meno?

Il tentativo di scopiazzare la sua scuola fu certamente un disastro. Quasi tutte le esperienze si sono dimostrate incapaci di una scuola migliore anche se più attenta agli ultimi. Non si era capito, a Milano come nelle altre realtà, che Barbiana non era semplicemente una scuola, ma una comunità che viveva di scuola. Ogni occasione della giornata era uno strumento di apprendimento. I ragazzi con il loro priore passavano tutto il giorno, dalla mattina alla sera, assieme per tutto l’anno. Anche a Natale.

Certo, anche la didattica era creativa, e negli anni Cinquanta e Sessanta era addirittura rivoluzionaria. Strumenti come la lettura del giornale, lo studio delle lingue straniere ascoltando i dischi e andando poi a lavorare all’estero, la scrittura collettiva, il confronto con esperti nelle varie materie, il lavoro nell’officina (oggi lo chiameremmo alternanza scuola/lavoro), la pittura, la musica, ecc. Ma, ancora una volta, era questo il vero insegnamento di don Lorenzo? Io non lo credo.

Ho passato tanti anni di insegnamento cercando di capire il segreto di don Lorenzo. Ho avuto anche la fortuna, come membro della Fondazione don Milani, di partecipare a tante conferenze su di lui. E sempre mi sono posto la stessa domanda. Alla fine che cosa è rimasto di essenziale nella sua testimonianza? Qual è stato il segreto del successo della sua scuola?

Credo di averlo trovato nelle sue ultime parole prima di morire, quando chiede scusa a Dio per avere amato di più i suoi ragazzi di Dio stesso. Ancora una volta la differenza la fa l’amore. I care, aveva scritto sulla porta della sua stanza. Ed è vero. Ci ha fatto capire che la scuola, l’insegnamento, funziona quando vuoi bene al tuo studente. Te ne prendi cura, appunto.

Ho passato tanti anni nella scuola, come insegnante e poi preside, per non notare che tutto questo è verissimo. Gli insegnanti migliori sono quelli che riescono a voler bene ai propri studenti, ad avere dunque un rapporto umano, empatico, che faccia capire che sono interessati alla loro crescita. E questo permette anche di essere severo, esigente, perché lo studente sa che lo fai per il suo bene e che sei un compagno affidabile nel viaggio di crescita che è la scuola. Sei accanto a lui e soprattutto nei momenti di difficoltà, sei pronto a tendergli una mano. Cambia molto per uno studente che ha preso un brutto voto in un compito in classe sentirsi dire: «… guarda, hai preso 2 perché non hai capito questa versione. Questo non vuol dire che sei stupido, vuol dire solo che hai fatto, questa volta, un brutto lavoro. Dunque dobbiamo risolverlo assieme ed io sarò al tuo fianco. Ti aiuterò».

Capite la potenza educativa di un atteggiamento così dell’insegnante? Lo studente non andrà in crisi perché si sente giudicato, ma sarà invece motivato a studiare meglio e a superare le sue difficoltà.

Allora, le discussioni di questi giorni sulla fuga di molti studenti dalle scuole, potrebbero avere una soluzione. Non vi pare?

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* Insegnante, già preside del Liceo Berchet di Milano, responsabile della Fondazione Don Lorenzo Milani per il nord Italia