Una Chiesa aperta, accessibile ed essenziale, proprio come quella di San Carlo al Lazzaretto a Milano, nata originariamente senza pareti ed oggi luogo di ritrovo settimanale di un gruppo di omosessuali credenti. È la metafora scelta dal direttore don Fabio Landi nel suo editoriale sul numero de Il Segno di ottobre, per spiegare la scelta di dedicare la copertina al complesso tema dell’accoglienza delle persone omosessuali nella comunità ecclesiale.
Un tema su cui si moltiplicano in tutta Italia (proprio a partire da Milano) esempi positivi di dialogo e accettazione, in un contesto generale in cui però convivono le forti aperture di papa Francesco con ricorrenti chiusure e imbarazzi e con “una pastorale in notevole ritardo”. La lunga inchiesta di Laura Badaracchi racconta appunto questi modelli positivi e dà voce a varie personalità del mondo ecclesiale che hanno affrontato in modo creativo l’argomento e a due giornalisti (Luciano Moia e Iacopo Scaramuzzi) che gli hanno dedicato dei libri.
Ecco il testo completo dell’editoriale.
Quella chiesa “aperta da tutti i lati”
Chi insegna o ha quotidianamente a che fare con i ragazzi sa quanto sia mutata negli ultimi due decenni la sensibilità sul tema dell’amore omosessuale. Naturalmente non si tratta di una trasformazione omogenea né esclusivamente confinata all’età giovanile: il cambiamento è più complesso e trasversale, ma è comunque un dato di fatto che le nuove generazioni ragionino con categorie molto lontane da quelle che hanno caratterizzato il contesto nel quale si sono formati i loro genitori.
Questo scarto è per qualcuno un sospirato guadagno sul piano delle libertà e dei diritti. Altri vi vedono una stortura indotta da un forte condizionamento culturale e il segno di una fragilità che andrebbe arginata e accompagnata con modelli educativi più attenti.
Le due posizioni faticano a trovare punti di incontro e spesso, da entrambe le parti, ci si scandalizza: vuoi perché un giudizio sull’orientamento sessuale è avvertito come equiparabile a una discriminazione razziale; vuoi perché, sull’altro versante, l’abbandono dei paradigmi tradizionali è ritenuto un fattore che moltiplica le difficoltà nella costruzione di un’identità personale ordinata e di una convivenza civile che ha nella famiglia il suo nucleo fondamentale.
La semplificazione diffusa che, senza andare troppo per il sottile, individua nella società e nella Chiesa i due lati opposti della barricata produce evidenti contraccolpi, non solo sul piano delle idee, ma, in modo più grave, su quello del vissuto. Il risultato è che per i credenti l’argomento è diventato una specie di tabù che nelle comunità cristiane non si può nominare senza un certo imbarazzo.
Al contrario, sarebbe opportuno poter affrontare con maggiore serenità il discorso e l’impressione è che il profilo pastorale, che prevede conoscenza reciproca e relazioni dirette, rappresenti un punto di partenza più proficuo, dove molte delle tensioni così vive sul fronte teorico in parte si allentano. La difficoltà a intendersi sull’interpretazione della sessualità umana non impedisce, infatti, la cura della Chiesa nell’accompagnare i percorsi personali. In questo servizio, la comunità cristiana «non fa preferenze di persone» ma accoglie chiunque intenda temere Dio e praticare la giustizia, «a qualunque popolo appartenga» (cfr. At 10,34-35).
Con questo desiderio un gruppo di credenti omosessuali anima mensilmente una celebrazione presso la chiesa di san Carlo al Lazzaretto a Milano. La scelta del luogo è suggestiva. Il Manzoni ricorda infatti che quella cappella «era, nella sua costruzione primitiva, aperta da tutti i lati, senz’altro sostegno che di pilastri e di colonne, una fabbrica, per dir così, traforata: […] di maniera che l’altare eretto nel centro, poteva esser veduto da ogni finestra delle stanze del recinto, e quasi da ogni punto del campo». Sembra il ritratto della Chiesa così fortemente voluta da papa Francesco: aperta, accessibile, essenziale, per mostrare Dio a tutti.