Caldo insopportabile e portafogli vuoto. Un mix fatale e purtroppo sempre più frequente nell’era del climate change e della crisi economica perenne.
Per i tanti che non possono permettersi una vacanza la piscina è un’oasi nel deserto. Ma quest’estate a Milano sono più quelle chiuse di quelle aperte. Dei sette centri comunali che possono offrire spazi all’aperto (“centri balneari” o piscine con vasche scoperte), solo tre sono funzionanti: la piscina Romano, in zona Piola, la Cardellino, al Lorenteggio, e la Sant’Abbondio, in Barona. Le altre sono chiuse da un numero variabile di anni: Scarioni dal 2018, Lido dal 2019, Argelati dal 2022 e Saini dal 2023.
Il Comune, che gestisce le piscine attraverso la sua partecipata Milanosport, non riesce a stanziare gli investimenti necessari per le riqualificazioni: per l’Argelati, per esempio, servirebbero circa 18 milioni di euro e cinque anni di pazienza prima di vederla finita. Lo ha detto l’assessora allo Sport Martina Riva durante un incontro con la cittadinanza svoltosi a metà giugno, nel quale ha dichiarato comunque l’intenzione del Comune di mantenere la gestione diretta dell’impianto, data la mancanza di offerte soddisfacenti da privati e le pressioni dei cittadini.
In tanti, negli ultimi anni, si sono mobilitati per le piscine: la campagna “Milano Balneare”, lanciata dall’Associazione “Sai che puoi?” per chiedere la riapertura dei centri balneari storici, evitando che vengano parzialmente privatizzati e quindi meno accessibili per i cittadini, ha raggiunto oltre diecimila firme.
Alla base di queste richieste, c’è la visione della pratica sportiva e della balneazione come servizi pubblici, che promuovono benessere e socialità, soprattutto per le fasce meno abbienti della popolazione. Una visione che rischia di perdersi quando si aprono i progetti di riqualificazione all’intervento dei privati. Come nel caso del Lido: nel 2023 è stata firmata una convenzione con la società spagnola Go Fit, che investirà 25 milioni nella ristrutturazione e gestirà l’impianto per 42 anni. Operazione resa possibile dallo strumento del Partenariato pubblico privato (Ppp), previsto dal Codice degli appalti e degli impianti pubblici.
Non è contrario a priori alla collaborazione tra pubblico e privato Antonio Longo, ordinario di Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, autore – insieme al collega Alessandro Coppola e a Tommaso Goisis, attivista di “Sai che puoi?” -, del rapporto conoscitivo “Il fine o la fine dello sport e del tempo libero pubblico a Milano?”. A una condizione: «Il Ppp dovrebbe essere il punto di incontro tra la domanda di servizi di una pubblica amministrazione e gli interessi, legittimi, del soggetto privato. Il problema è che a Milano l’amministrazione pubblica non formula una domanda esplicita correlata alla natura di quel servizio». Troppo pochi i “paletti” messi dal Comune in termini di struttura dell’impianto, destinazione, accessibilità delle tariffe, compatibilità con gli altri obiettivi dell’amministrazione.
Tempo libero
Milano ha caldo, ma le piscine restano chiuse
Nel capoluogo lombardo, solo tre su sette centri balneari comunali sono aperti. Ritardi nei lavori, mancanza di fondi e privatizzazioni mettono a rischio un servizio essenziale per chi resta in città