Oggi essere prete è sempre più complesso. Riduzione del clero, età avanzata, aumento delle comunità da seguire e pressioni istituzionali, pastorali e burocratiche rendono il ministero sacerdotale faticoso e, a tratti, disumanizzante. Come sottolinea don Enrico Parolari, psicoterapeuta e docente, si rischia di vivere la vocazione come un mestiere, perdendo il senso profondo del ministero come dono e relazione.
È il tema della copertina de “il Segno” di ottobre, che si avvale dei contributi di sacerdoti, psicoterapeuti, psichiatri e formatori per tracciare un quadro il più possibile fedele del “disagio” vissuto dai preti in questi anni.
Il sacerdote è spesso spinto verso un “eroismo clericale” che accumula incarichi e tenta di colmare ogni vuoto, a scapito di ascolto, dialogo e relazioni autentiche. Si crea così un modello di onnipresenza inefficace, in cui si “fa per tutti” ma non si riesce a voler bene a nessuno, alimentando solitudine, frustrazione e il rischio di burnout.
A complicare la situazione, la frequente mobilità tra parrocchie e la frammentazione dei legami comunitari rendono difficile per i presbiteri costruire relazioni durature, con un impatto negativo sull’equilibrio psicologico e sulla qualità del servizio pastorale. Inoltre, il minor interesse per la fede, soprattutto tra i giovani, contribuisce a una sensazione di marginalità e inutilità.
Eppure, proprio nella fragilità può nascere un cammino nuovo. Sempre più Diocesi promuovono percorsi di accompagnamento psicologico e spirituale per i sacerdoti, superando lo stigma del “prete in crisi”. La consapevolezza che la vocazione non annulla la vulnerabilità, ma la assume, apre a una visione più umana e sostenibile del ministero.
La relazione con il Vescovo e tra confratelli resta decisiva: laddove è fraterna e non formale, può diventare spazio di sostegno e discernimento. La prevenzione, l’ascolto non giudicante, la formazione integrale sono oggi strumenti fondamentali per evitare rotture e rigenerare fiducia.
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