Società

Fino a che punto si può arrivare con la protesta?

La ribellione dei giovani di fronte alla crisi climatica ed economica è comune nei contenuti, ma diversa nelle forme (cortei, imbrattamenti di opere d’arte, scontri con le forze dell’ordine...). Su «Il Segno» di luglio/agosto le opinioni contrapposte di due attivisti
La statua equestre di Vittorio Emanuele II in piazza Duomo a Milano imbrattata di vernice (foto Agenzia Fotogramma)

Crisi climatica ed economica. La ribellione dei giovani, anche se si assomiglia nei contenuti, si esprime spesso in forme diverse: dai cortei agli imbrattamenti di opere d’arte fino agli scontri con le forze dell’ordine. Su Il Segno di luglio agosto, il confronto tra due attivisti: Tommaso Juhasz, 30 anni, laureato in Scienze politiche, esponente di Ultima generazione, ed Emmanuele Napoli, 24 anni, laureando in Giurisprudenza, rappresentante della Consulta di Ateneo in Università cattolica. Entrambi hanno risposto alla domanda: «Fino a che punto si può arrivare con la protesta?».

Tommaso Juhasz

Questa domanda è una delle più importanti che una persona possa porsi e non va affrontata con leggerezza. Qual è il limite da non superare nel portare avanti le proprie idee? Quali sono le condizioni che rendono legittima la mia protesta? E quando è che questa smette di rimanere solo una protesta per trasformarsi in qualcos’altro? Perché, etimologicamente, la protesta è attestare pubblicamente la propria opinione su di un fatto, e questo, davanti a un problema grave e reale come la crisi climatica ed ecologica, può purtroppo rimanere inefficace.

La protesta è di per sé la scintilla dell’azione politica, è l’affermazione di un principio che si ritiene in pericolo, il tracciare una linea e dire «fino a qui e non oltre», un po’ come successe quando nel tempio di Gerusalemme i cambiamonete e i mercanti passarono un brutto quarto d’ora. Se però l’azione politica si fermasse qui, rimarrebbe per sempre castrata della parte creativa, della sua funzione di «arte del possibile». Eppure, purtroppo, ci sembra spesso che la nostra capacità politica sia proprio rimasta a questa parte di negazione che non riesce, per un motivo o per un altro, a realizzarsi in un cambiamento reale.

Una semplice analisi storica e materialista ci aiuterebbe a ritrovare tutti quei punti di svolta in cui, volta per volta, siamo stati privati della capacità di trasformare le nostre proteste in una realtà nuova, come per esempio a Napoli e Genova nel 2001, dove le legittime idee di centinaia di migliaia di persone sono state accolte da una vera e propria sospensione della democrazia.

È questo il paradosso davanti a cui ci troviamo, quello in cui un po’ di vernice lavabile è molto più grave del non prendere atto della enorme crisi globale in cui ci troviamo. Quello che le azioni di imbrattamento fanno, altro non è che un atto blasfemo, in cui si prende qualcosa di sacro e lo si sfida in questa sua sacralità. Ma è un dissacramento momentaneo, e che nasce dal riconoscimento di questa reale importanza, che cerca di mostrare la sproporzione tra questo atto innocuo e l’enorme gravità della crisi in corso. E sono quel silenzio, quelle menzogne, quella complicità con un crimine così grande a essere la vera grande profanazione della sacralità della vita, della bellezza e della giustizia su questo pianeta, ma sono così grandi e diffuse che è difficile indicarle senza creare sconforto o cinismo.

Se tutte le persone che si sono arrabbiate con noi per il carbone vegetale o la zuppa di pomodori riuscissero a riconnettersi con la bellezza delle opere imbrattate e capissero quanto è precaria, forse avremmo ottenuto già molto. Se si ricordassero del perché sono indignate, se provassero un poco della stessa rabbia verso chi gli sta rubando il futuro, sarebbe un altro grande passo.

Fino ad allora, noi continueremo a far arrabbiare, indignare, a far sbuffare di disdegno i benpensanti, certi che le nostre proteste blasfeme non sono altro che il modo che abbiamo trovato per ricordarci che qualcosa di sacro esiste.

Emmanuele Napoli

La difesa dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici sono obiettivi fondamentali per le nostre generazioni. È innegabile che per decenni si sia ignorato quanto importante sia prendersi cura del nostro pianeta. È necessario comprendere come i temi del riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, consumo di suolo siano strettamente correlati allo sviluppo della nostra società. Ecco perché è arrivato il momento di dar priorità a uno sviluppo infrastrutturale, urbano, edilizio che sia sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Penso al principio del «consumo di suolo a saldo zero». È intollerabile che di fronte alle catastrofi non si comprenda che ogni spazio tolto alla permeabilità del suolo ci pone di fronte a rischi altissimi per il nostro ecosistema.

È un tema che anche l’Italia ha ignorato, sono mancate azioni politiche sia dai governi, sia dagli enti locali per pianificare il governo del territorio in modo efficace e sostenibile. Così come per anni non si è parlato di transizione ecologica che coniughi sviluppo e protezione dell’ambiente. Non dimentichiamo che soltanto un anno fa l’articolo 9 della Costituzione è stato integrato con la dicitura «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».

Il tema interessa noi come singoli, ma interessa anche e soprattutto la società, le famiglie, le imprese. Il futuro delle generazioni prossime e, dunque, il futuro dell’Italia e del mondo.

Partecipo volentieri alle manifestazioni che esprimono dissenso rispetto alle politiche poste in essere e che pongono l’attenzione su quanto si debba fare. Ho partecipato ai Fridays for Future, in università abbiamo cercato di rendere centrale il tema sia in termini di ricerca sia in termini di buone pratiche da attuare per la comunità universitaria. Prima del Covid, con un gruppo di amici attivisti europei scendevamo nelle piazze di Milano e di tutta Italia per spiegare quali fossero le politiche introdotte dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo per incentivare transizione ecologica e sostenibilità ambientale. Tuttavia, non condivido i modi con i quali si manifesta il proprio dissenso attraverso atteggiamenti irrispettosi e dannosi nei confronti della nostra cultura, ma anche nei confronti delle persone e dei lavoratori. Milano, Catania, Roma, Firenze, Padova, Genova: sono diverse le città che hanno subìto danni a causa delle manifestazioni di dissenso a favore dell’ambiente.

Io rispetto fortemente la disobbedienza civile, soprattutto per far comprendere l’esigenza di agire celermente per far fronte a un problema che non possiamo più ignorare. Ma la conseguenza di queste manifestazioni, sovente, è il dispendio di risorse economiche e molte volte anche idriche. Si pensi per esempio ai danni al monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Duomo a Milano, per cui è necessario un restauro oneroso. L’appello che farei ai manifestanti è di unirci, lavorare e manifestare insieme, talvolta anche disobbedire insieme, per un obiettivo comune ma con altri metodi. Non passa forse la tutela dell’ambiente proprio dalla salvaguardia dell’arte e della cultura? Cosa più della bellezza che deriva dal passato può farci comprendere quanto sia importante costruire un futuro?

Il Re “ripulito”

Dagli ultimi giorni di giugno, in piazza Duomo a Milano, sono in corso i lavori di pulizia e restauro della statua equestre di Vittorio Emanuele II, imbrattata in marzo dagli attivisti ambientalisti di Ultima generazione. La vernice utilizzata – di colore giallo e non lavabile – viene rimossa dalla superficie del monumento grazie al lavoro di un team specializzato, in base a un progetto condiviso dal Comune con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. I lavori dovrebbero concludersi intorno alla fine di luglio.

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