Sla: è nell’acqua la causa?

Il 21 giugno è la Giornata mondiale della lotta contro la Sclerosi laterale amiotrofica. Uno studio collega l’irrigazione dei terreni all’insorgere della malattia neurodegenerativa. Il sospetto è nato dall’alta incidenza di vittime tra calciatori e agricoltori

La Sla colpisce da una a tre persone ogni 100 mila all’anno: in Italia sono circa un migliaio. È chiamata «Morbo di Lou Gehrig», dal nome di un giocatore americano di baseball che la contrasse negli anni Quaranta, ma è nota anche come «la malattia dei calciatori» per l’alto numero di vittime nel calcio italiano.
Proprio l’incidenza di casi sopra la media tra i calciatori ha indotto ad avanzare diverse teorie sulle possibili cause: l’assunzione di sostanze dopanti, l’abuso di farmaci e antidolorifici, il trattamento dei terreni con pesticidi e diserbanti, traumi di gioco.
Un recente studio ha avanzato una nuova ipotesi: dietro l’insorgere della Sla potrebbe esserci acqua “non trattata” utilizzata per irrigare i campi.
Su Il Segno di giugno è intervenuto Giuseppe Stipa, neurofisiologo dell’Ospedale di Terni: «L’origine della Sla – dichiara – è sempre stata ritenuta di natura genetica. La letteratura scientifica, i casi clinici e i racconti di pazienti da me sottoposti a elettromiografie fin dal 2004 puntano invece in un’altra direzione e propendono per una genesi ambientale. Ma questi fattori non hanno mai ricevuto dalla ricerca la dovuta attenzione, anche quando è emersa con evidenza la correlazione tra la malattia e il calcio».
Già nel 2019 uno studio epidemiologico condotto dall’Istituto Mario Negri di Milano con l’Iss rilevava la frequenza di casi di Sla tra ex calciatori di Como, Lecco, Sampdoria, Genoa e Fiorentina: squadre i cui stadi sono nei pressi rispettivamente del lago di Como e dei fiumi Bisagno e Arno. «Lecito dunque chiedersi se per l’irrigazione dei terreni si ricorra ad acqua proveniente da questi bacini e non adeguatamente depurata».
A conforto dell’ipotesi anche l’alto numero di vittime di Sla tra gli agricoltori. «Dato che anche i calciatori svolgono un esercizio fisico intenso su campi erbosi, l’accostamento tra le due attività, con i terreni quale minimo comune denominatore, pare significativo. Il contatto cronico con diserbanti o pesticidi non può essere scartato a priori come fattore scatenante».

Leggi l’articolo completo su Il Segno di giugno