COPERTINA

Memoria online da curare per tempo

Se durasse ancora 50 anni, Facebook avrebbe più profili di morti che di vivi… Per lasciare un buon ricordo occorre preoccuparsi oggi delle innumerevoli tracce che lasciamo sul web

Cresce la consapevolezza di ciò che resta online dopo la nostra morte. “Il Segno” di novembre dedica a questo tema la storia di copertina curata da Laura Badaracchi e Gigio Rancilio di cui pubblichiamo uno stralcio dell’articolo di apertura.

Viviamo “on life”, cioè sempre più connessi alla rete Internet. Anche se molti si ostinano a non vederlo, di fatto non esiste più una frattura così netta e precisa tra quello che chiamiamo il mondo digitale e il mondo “reale”. Sempre più spesso le nostre vite si svolgono tra i due mondi e tra un misto di uno e dell’altro. Perché ciò che facciamo nel reale spesso viene amplificato e continua nel digitale, mentre ciò che facciamo “online” ha conseguenze (spesso anche serie e perfino tragiche) nella “vita vera”.

Una delle poche certezze che abbiamo tutti come esseri umani è che un giorno (il più avanti possibile) moriremo. Se per decenni soprattutto il mondo occidentale ha tentato di rimuovere la morte in ogni modo, anche fisicamente (spostandola il più possibile dalle case agli ospedali), la pandemia ce l’ha riportata davanti agli occhi tutti i giorni. Con tanto di bollettino quotidiano dei defunti. Eppure, per difendersi, tanti di noi hanno chiuso un po’ gli occhi per attutirne l’orrore e il dolore giornaliero.

Secondo lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, «se in pandemia i genitori e gli adulti avessero più discusso di morte con i ragazzi, li avrebbero aiutati a crescere e ad avere pensieri più consapevoli».

Morire, come ben sappiamo tutti, non riguarda solo i nostri corpi, le nostre vite. E nemmeno l’anima basta a completare il discorso sulla morte. Per farlo, dobbiamo anche ragionare sulla memoria.  Già, fare memoria dei defunti. Anche chi non crede sa quanto sia importante. Nell’antichità, per farlo ci si fermava alcuni giorni dopo gli ultimi raccolti (di solito ai primi di novembre). Un modo per pregare o anche solo per pensare ai nostri cari che non ci sono più, ma pure per ricordare ai vivi che ci attende un’altra terra, un ritorno alla casa del Padre e che per prepararci dobbiamo fermarci a riflettere sui nostri pensieri, le nostre opere e le nostre azioni quotidiane. Su chi siamo stati e su chi siamo. Ora che viviamo “on life” una parte sempre più grande di noi lascia tracce di sé nel digitale. E molte di più di quante normalmente ne ricordiamo. Sembra una cosa da poco, ma non lo è. Quando muore un nostro caro o quando moriamo noi, cosa accade alla sua e alla nostra memoria digitale? Chi diventa proprietario delle foto, dei pensieri, dei ricordi, delle poesie e di tutto ciò che ha scritto sui social la persona scomparsa?

Tratto dal numero 11 (novembre 2022) de Il Segno